Dopo la tragica morte di Paolo Finzi (20 luglio 2020), storico direttore di “A rivista anarchica”, la redazione ha comunicato l’interruzione delle pubblicazioni. Tale comunicazione è avvenuta inizialmente solo attraverso la mailing list della rivista stessa giustificandola con le gravi condizioni economiche e con la “precisa decisione di Paolo, che tra le sue ultime volontà ha indicato di “cessare l’attività” di Editrice A.”
Solo molto tardivamente, quando già erano esplose le polemiche il comunicato è apparso sul sito della rivista
Nel frattempo Enrico Finzi, fratello di Paolo, sul suo blog personale ha dato la notizia pubblicamente con parole di fuoco (riportiamo testualmente):
“sull’onda dell’indignazione, dopo aver letto il comunicato della redazione che annuncia la chiusura di A-rivista anarchica adducendo come motivo il rispetto della volontà testamentaria di Paolo che A non proseguisse.
Si tratta d’un falso: mio fratello non ha scritto alcunché in merito. Il suo testamento, ora pubblico, non fa cenno di tale decisione.
Vorrei che fosse chiaro che la decisione di non dare un futuro ad A è stata presa da un minuscolo gruppo di persone; non è stata condivisa da me e da tante compagne e compagni; ribalta orientamenti sino a poco tempo fa accettati.
Quando Paolo si è tolto – disperatamente – la vita, subito molti hanno progettato tre interventi.
Il primo, ovvio e doveroso, volto a far uscire un nuovo numero della rivista dedicato al suo cofondatore e direttore: infatti sono stati raccolti o sollecitati contributi di anarchiche e anarchici, mentre è iniziata la selezione di testi scritti da Paolo.
Non aver consentito questo numero è un’infamia, tanto più che erano state messe a disposizione le risorse finanziarie necessarie.
Pensavamo poi a un passo successivo: far uscire altri due numeri per arrivare alla primavera prossima, cioè al 50esimo anniversario della fondazione di A. Studiavamo un ricorso alla solidarietà delle compagne e dei compagni, oltre a un contributo straordinario di non anarchici ma estimatori della rivista (me incluso).
Da marzo 2021 in poi, non nascondendoci le grandi difficoltà, ipotizzavamo una prosecuzione a costi abbattuti, ricorrendo all’on line.”
Mentre la notizia veniva amplificata (con toni a tratti scandalistici) dalla “Repubblica” e dal “Manifesto”, i militanti spaesati (tra questi persino dei collaboratori storici della rivista), privi di un forum di confronto “ufficiale” si trovavano costretti a commentare la notizia in calce al post di Enrico Finzi o su qualche pagina facebook.
Quale che sia la sorte della rivista (che ora sembra infausta) spiace che un’impresa editoriale nata come sforzo collettivo finisca quasi come un affare “di famiglia” o interno a tre/quattro persone. Il fatto che negli ultimi tempi le sorti economiche della rivista fossero sostenute essenzialmente dai (generosi) contributi finanziari di Paolo Finzi non giustifica questo triste epilogo (anche per onorare la memoria di Paolo, una persona che ci ha creduto e che ha donato tutto se stesso a questa avventura).
Certo se mancano i soldi non si possono intraprendere imprese costose… ma gli anarchici sono abituati ad andare avanti anche senza soldi, magari con fogli fotocopiati alla meno peggio, se manca il Carlo Cafiero di turno a sovvenzionare (e manca quasi sempre)…
Ripercorriamo qui le vicende di “A rivista anarchica” seguendo Giampietro Berti (“Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962-2012)”, Biblion, 2016) secondo cui la storia della rivista, dalle origini al 2012, può essere divisa sostanzialmente in tre fasi (riassumiamo qui molto poveramente, rinviando al ponderoso saggio):
ANNI SETTANTA: è la “fase più importante e creativa” (p. 126, su questo punto sottoscriviamo il giudizio di Berti).
Il progetto editoriale nasce nell’ambito dei Gruppi anarchici federati nel 1970. Fondatori sono Amedeo Bertolo, Luciano Lanza, Fausta Bizzozzero, Roberto Ambrosoli, lo stesso Nico (Giampietro) Berti e un diciannovenne Paolo Finzi (p. 126).
“Tirata a diecimila copie, “A” vende da subito sette-ottomila copie, diventando di gran lunga la più diffusa pubblicazione anarchica […] La formula ? Una veste grafia attuale, un linguaggio attuale, contenuti attuali. Un po’ specchio delle lotte, un po’ riflessione critica, un po’ di proposte teoriche innovative, un po’ di riproposizione orgogliosa di identità anarchica” (p. 127)
ANNI OTTANTA: La redazione ora è composta da Paolo Finzi, Aurora Failla e Fausta Bizzozzero (del nucleo originario) a cui si aggiungono Massimo Panizza, Giuseppe Gessa e Maria Teresa Romiti (p. 401) non vi è un sostanziale mutamento della linea politica mentre cambiano progressivamente “il “tono” ideologico” e lo “stile” culturale rispetto al decennio precedente”. Cambiano i temi di cui si occupa la rivista “a causa della fine del clima rivoluzionario […] il cambio di passo comporterà alla lunga il passaggio dall’autoreferenzialità politica all’autoreferenzialità etica (una linea, questa, che si accentuerà nei vent’anni successivi)” (p. 401).
ANNI NOVANTA – 2012: al timone della rivista rimangono ora solo Finzi e Failla “la direzione finziana interpreta o, per meglio dire riflette, sia pure indirettamente, il clima generale degli anni novanta, che vedono un ulteriore frantumarsi dell’ideologia in molteplici rivoli dovuti allo sbandamento generale della sinistra causato dal crollo del comunismo. Lo sbandamento accentua la spinta autoreferenziale con un maggior scavo delle motivazioni personali della scelta di campo: il risultato, per l’appunto, è l’inevitabile sgretolamento ideologico in una più generica aspirazione alla libertà e all’uguaglianza.
L’anarchismo di Finzi rafforza la preminenza della coerenza etica tra mezzi e fini, per cui il senso ultimo dell’agire anarchico non consiste nel suo contenuto specifico, ma nel suo modo di porsi” (p. 421).
L’evoluzione si rafforza dopo il 2000. “il terzo decennio della rivista dà piena conferma di questi orientamenti tendenzialmente a-ideologici” in una “dispersione di temi e di problemi sempre più eterogenei” aumentano gli articoli pubblicati, le rassegne e le lettere mentre diminuiscono i contributi di carattere ideologico: cinema , musica, letteratura, testimonianze di vita. “E’ una “polverizzazione” che rende difficile una ricostruzione chiara e lineare degli intenti della redazione; “polverizzazione” che, a sua volta, ha riflessi sulla linea politica di “A” e sulla sua ricezione nell’ambito del movimento anarchico. Tra questo e la rivista vi è una sorta di scambio di specchi: l’uno mostra il volto dell’altro, e viceversa. L’identità politico-ideologica si sposta sempre di più verso un’autoidentità a carattere etico e affettivo, ripiegata cioè su se stessa” (p.450-451).
Berti parla di “equilibrismo ideologico, come contraccolpo del definitivo esaurirsi della spinta rivoluzionaria” (p. 452) rinvenibile nella pluralità delle firme regolarmente ospitate dalla rivista, alcune delle quali rinviano alla “sinistra laica e radicale, non partitica e non marxista” (Carlo Oliva, Felice Accame), altre all’anarchismo nelle sue diverse variazioni (Antonio Cardella, Maria Matteo, Andrea Papi, Cosimo Scarinzi). La rivista in questa fase appare “soprattutto una palestra di opinioni” (Paolo Finzi, p. 452).
Al di là di ogni giudizio (aggiungiamo noi) una avventura culturale sicuramente di grande spessore. E ora ?
Un interessante intervento:
https://www.libertandreapapi.it/a-rivista-post-.php