E’ sempre doloroso registrare la chiusura di un periodico anarchico, come quella di A Rivista anarchica (di cui abbiamo diffusamente parlato).
Oggi invece possiamo registrare la nascita di ben due periodici nuovi:
Il semestrale EMMA (con sottotitolo ” Culture e pensieri libertari”) di cui a marzo 2021 è uscito il primo numero sembrerebbe intenzionato a raccogliere il testimone lasciato da A rivista anarchica. Il nome è ripreso da da “Emma Goldman, anarchica dallo sguardo lucido e tagliente che ha saputo decifrare il suo tempo e prevederne le derive”.
e, vecchia conoscenza, la rivista “Collegamenti Wobbly” che sta per risorgere dalle sue ceneri in una delle sue numerose reincarnazioni, (dopo la falsa ripartenza del 2016).
In attesa di poterla leggere riportiamo una vecchia presentazione che ne ripercorre la storia (da A marzo 2002):
Collegamenti Wobbly si presenta
A colloquio con Cosimo Scarinzi, della redazione di Collegamenti:
Puoi dire in modo sintetico quali sono le radici di Collegamenti?
Collegamenti, per l’organizzazione diretta di classe nasce, negli anni 70, sulla base di un’ipotesi forte e ragionevolmente strutturata. I compagni che allora diedero vita a questa esperienza volevano svolgere un lavoro di ricerca critica sulle modalità di espressione delle lotte del proletariato valorizzando le forme di autorganizzazione sociale che si andavano sviluppando a livello nazionale ed internazionale. La redazione era in stretta relazione con una rete di collettivi di fabbrica e di territorio dei quali si sentiva diretta espressione.
Se dovessimo definire con una formula il punto di vista che allora ci caratterizzava potremmo dire classe contro vecchio movimento operaio come passaggio dialettico a classe contro capitale. La rottura del controllo socialdemocratico e staliniano sul movimento dei lavoratori era per noi un obiettivo praticabile ed un orizzonte progettuale adeguato.
Il ciclo di lotte che va dall’inizio degli anni 60 alla fine degli anni 70 sembrava autorizzare uno schema che era sovente rozzo ed unilaterale ma efficace. Il vecchio movimento operaio poteva essere interpretato come l’espressione del controllo borghese della classe e, in particolare, di quello della borghesia di stato e della corrispondente piccola borghesia.
Oggi è facile cogliere i limiti di quell’approccio che non coglieva appieno i caratteri dell’integrazione delle classi subalterne nell’ordine sociale dominante ma non ne va negata la fecondità. In ogni caso, nessun pentimento.
Se questo particolare tipo di operaismo le cui radici sono rintracciabili nel sindacalismo d’azione diretta era il mito fondante ed il quadro analitico di riferimento delle origini della nostra avventura è bene ricordare che Collegamenti ha tentato un’originale sintesi teorica riuscendovi almeno parzialmente.
Possiamo individuare tre radici di questa elaborazione.
1. La tradizione anarchica nella sua versione classista e comunista liberata da incrostazioni ideologiche e da rigidità autoreferenziali.
2. La sinistra comunista tedesco-olandese e, in genere, la tematica consiliare fuori da ogni impianto determinista.
3. La scuola della composizione di classe di cui si riprendevano le radici antiburocratiche.
La rivista è stata, quindi, un laboratorio che ha permesso la collaborazione feconda fra compagni di formazione anarchica e marxista critica sul terreno dellintervento militante, della ricerca, dell’inchiesta.
Questo fino alla fine degli anni ’70, ma nella prima metà degli anni ’80 la situazione si modifica notevolmente. In che modo questi cambiamenti si ripercuotono su Collegamenti?
Gli anni 80 e la fine del ciclo di lotte nel quale la rivista è nata hanno determinato la scelta di porre l’attenzione sul modificarsi della composizione di classe, sul precariato, sulle lotte nel settore pubblico senza che il modello teorico di riferimento venisse sostanzialmente messo in discussione o, meglio, con la fuoriuscita dei compagni che lo mettevano in discussione. La rivista scelse allora di chiamarsi Collegamenti Wobbly, mantenendo il sottotitolo per l’organizzazione diretta di classe, per rimarcare il riferimento all’esperienza degli IWW , il sindacato d’azione diretta che si sviluppò negli USA nei primi decenni del secolo. L’attenzione particolare alle lotte dei lavoratori precari ci induceva a valorizzare una straordinaria esperienza di mobilitazione e di organizzazione dei lavoratori immigrati nel più importante paese capitalista.
Gli anni 90 ci hanno visto in una situazione delicata: la rivista era uno strumento al quale ci legava una serie di relazioni, il lavoro passato, la speranza di un superamento dei limiti del conflitto sociale che pure si manifestava. Abbiamo proseguito nella documentazione di quanto i movimenti esprimevano, nel confronto sulle prospettive e sulle possibilità che sembravano aprirsi, nel tentativo di cogliere nelle lotte potenzialità antisistemiche ponendo l’attenzione su alcune precise, questioni:
la fine del blocco sovietico e il dominio a livello planetario del modello occidentale;
la fine o, almeno, il radicale ridimensionarsi del ruolo, del peso, della presenza del vecchio movimento operaio;
il salto di paradigma produttivo del quale siamo testimoni.
Il lavoro svolto su questi temi è stato, a nostro avviso, interessante ma è maturata la consapevolezza che, se si assume che questo è il quadro dal quale dobbiamo ripartire, dobbiamo accettare che non bastano adattamenti ma è necessario assumere ipotesi di lavoro sostanzialmente nuove. Nuove non nel senso di una rimozione dei risultati e dei limiti del lavoro svolto ma dell’assunzione del fatto che il lavoro di inchiesta militante sul conflitto sociale è necessario ma non sufficiente.
Cosa è Collegamenti Wobbly oggi?
Sostanzialmente una rivista di teoria politica di segno esplicitamente libertario. Quello che si propone di indagare è il potere nella sua capacità di riprodursi e di adattarsi plasticamente alle contraddizioni che lo attraversano.
Ci riferiamo alla macchina statale, al quadro geopolitico, alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, all’organizzazione produttiva, ai linguaggi e alle culture dominanti, subalterni, antisistemici, alle forme della lotta di classe e, per dirla tutta, alle prospettive rivoluzionarie che vi sono.
Su molti di questi temi il collettivo redazionale ha lavorato per molti anni e lavora oggi, non si parte dal nulla ma quello che è gradualmente mutato è l’impianto generale del nostro lavoro. Si è, infatti, sentita l’esigenza di assumere un’esplicita dimensione progettuale che permetta di selezionare gli argomenti da trattare, gli interlocutori, gli avversari.
Su queste ipotesi abbiamo trovato e contiamo di trovare nuovi redattori e collaboratori interessati a questo progetto che riteniamo sufficientemente rilevante da meritare il sacrificio di una continuità formale e la modificazione, parziale, del nome della rivista.