Zapatismo: dalla rivolta all’autonomia autoritaria (di Javier Herrera)

Dalla rivolta all’autonomia autoritaria
di Javier Herrera
La nostra rivista ha seguito fin dall’inizio (1° gennaio 1994) l’esperienza di vita e di lotta delle comunità zapatiste nella regione messicana del Chiapas. In particolare, ma non solo, tramite le corrispondenze di Orsetta Bellani, che sono state poi raccolte in un libro pubblicato in Italia dalle edizioni La Fiaccola. Altri contributi abbiamo pubblicato di Claudio Albertani, che ci ha inviato questo testo radicalmente critico con gli esiti dell’esperienza zapatista. La questione è caliente, perché non è mai facile esaminare criticamente delle esperienze di lotta in corso. Ma come in Russia nel 1917 e negli anni seguenti, come in Spagna nel 1936/1937, come in Rojava nei giorni nostri – e sono solo tre dei numerosi esempi possibili – la critica libertaria e anti-autoritaria non deve mai cessare di essere al centro della nostra analisi e delle nostre scelte di solidarietà. “Noi discutiamo di tutto, da dio al verme” ci piace ripetere. E anche il Chiapas è compreso tra questi due estremi. Il dibattito, mai chiuso, è aperto più che mai.

Sapeva comandare, perché prima seppe imparare ad obbedire.
Comunicato confidenziale ai militanti delle Forze di liberazione nazionale, Messico, 1 ottobre 1976

Per noi anarchici è complicato scrivere delle lotte che abbiamo intrapreso e vissuto, tanto più se questa lotta l’abbiamo affrontata con un’organizzazione non anarchica. È complicato perché le nostre parole saranno critiche e dense di giudizio, per questo le conserviamo con grande silenzio e il tempo inizia a dissolverle. Questo scritto non vuole far dimenticare la lotta fatta e vissuta. È l’inizio di una riflessione a voce alta di un’esperienza in Messico e in particolare in Chiapas. Resta tanto da dire, scrivere e discutere, ma chissà forse abbiamo iniziato.
All’inizio degli anni ’90, nella città messicana di Querétaro, iniziai ad avvicinarmi alle idee anarchiche attraverso la musica, la lettura di riviste, fanzine e i pochissimi libri che riuscivo a trovare sull’argomento. In seguito, divenni militante di un’organizzazione anarchica messicana. Cominciò così la mia partecipazione a quella che era conosciuta come Rete Amore e Rabbia (e, in seguito, Federazione Anarchica Amore e Rabbia, FARAR), che si stabilì a Città del Messico. Quella Rete aveva l’obiettivo di creare gruppi anarchici in Messico (ne esistevano già in Canada e negli Stati Uniti)1 per lavorare su temi differenti, con una base ideologica che faceva riferimento all’anarchismo rivoluzionario2. Non si è mai riusciti a creare gruppi sul territorio messicano e l’unico gruppo più o meno consolidato è stato quello di Città del Messico, con la pubblicazione di un periodico come mezzo di propaganda e organizzazione. A dire il vero, il livello teorico delle mie conoscenze sull’anarchismo era molto basico e ancor più basica era la loro pratica nella realtà in cui vivevamo. Quindi militare in un’organizzazione anarchica suonava molto interessante, ma non avevo ben chiaro di che si trattasse, anche perché nella città di Querétaro ero l’unico militante di Amore e Rabbia.
Mentre cercavo di comprendere l’anarchismo e la sua messa in pratica, arrivò il 1° gennaio del 1994. In Chiapas, Messico, ebbe luogo la rivolta armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), che rese nota la sua Dichiarazione della Selva Lacandona (o Dichiarazione di guerra) e invitò il popolo messicano a lottare e a partecipare alla sua guerra rivoluzionaria contro il governo messicano3. La rivolta provocò sorpresa, ammirazione, simpatia, meraviglia, dubbi e ancora più dubbi. Capimmo che non era una rivolta dai tratti anarchici, proprio per la Dichiarazione della Selva Lacandona e poi per le parole del suo comando militare, con il suo nazionalismo messicano e un’organizzazione basata su una gerarchia politica e militare. Tuttavia, da anarchici rivoluzionari sapevamo che la ribellione era giustificata e che dovevamo appoggiare “l’utilizzo di ogni mezzo necessario per l’emancipazione dell’umanità e porre fine alla guerra, alla povertà, alla fame, alla miseria. Appoggiamo l’uso di tattiche differenti contro il sistema attuale e per lo sviluppo di una rivoluzione sociale.” “L’anarchismo è un corpo vivo fatto di teoria e pratica, connesso direttamente alle esperienze vissute dagli oppressi nelle lotte per la loro liberazione.”4
Ci convinse e ci entusiasmò anche un’altra argomentazione: quella dell’assenza di potere, dell’antiautoritarismo, dell’orizzontalità nella propria organizzazione, e quella della creazione di un’autonomia dove si potesse costruire una società differente insieme ai popoli.
In sintesi: abbiamo creduto che si potesse fare una rivoluzione nel pieno senso del termine e che come anarchici dovessimo batterci e lottare in questa rivoluzione per distruggere e cambiare questa società autoritaria. Dovevamo avere a che fare con essa e partecipare al processo, quindi ci buttammo nell’appoggio e nella partecipazione totale per e con l’EZLN.

Al fianco degli zapatisti

Dunque, al principio del 1994 alcuni compagni e compagne andarono alla ricerca dei componenti dell’EZLN e li incontrarono. Con loro furono raggiunti alcuni accordi per l’aiuto materiale e la creazione di un progetto nella zona zapatista. Gli accordi furono raggiunti con la dirigenza politico-militare: il Subcomandante Marcos e il Maggiore Moisés (noti oggi come Subcomandante Galeano e Subcomandante Moisés).
In cosa consisteva il progetto? Nel creare un canale di appoggio diretto con i villaggi zapatisti attraverso un “campo di solidarietà diretta” (non volevamo infatti partecipare ai cosiddetti campi civili per la pace del Centro per i diritti umani “Fray Bartolomé de las Casas”, che ci sembravano una finzione e inoltre erano controllati dalla chiesa cattolica). Si sviluppavano tre temi: educazione, salute e donne (e in più, a lungo termine, occorreva costruire un sistema di acqua potabile e l’elettrificazione della comunità). Il progetto iniziò il primo maggio del 1996 nella comunità zapatista Santa Rosa el Copán del municipio de “Las Margaritas”5 (il lavoro in quel luogo era sottoposto a una serie di limitazioni poste dalla dirigenza zapatista, come quella di non intromettersi nella vita, nell’organizzazione e nella politica della comunità); il campo di solidarietà diretta fu chiamato “Martiri di Chicago”, mentre invece aprimmo una scuola primaria che intitolammo “Scuola anti-autoritaria Primo Maggio” (sottolineo la parola “intitolammo” perché non chiedemmo quale opinione avessero a riguardo le persone della comunità, e nemmeno sulla maggior parte delle questioni inserite nel progetto).
Avevamo molte teorie anarchiche e volevamo trovare il modo di applicarle in questa comunità, ma il problema era che nella pratica non sapevamo come affrontare le questioni del progetto da un punto di vista anarchico, anzi mi azzarderei a dire da nessun altro punto di vista. Inoltre la vita quotidiana nel campo era all’opposto di una buona convivenza tra compagni di idee, e tirammo fuori tutto il peggio di noi: nessun lavoro nella comunità, superbia, quasi nessuna solidarietà tra di noi ed espulsioni. Infine, non avevamo abbastanza compagni per sostenere il progetto. Il poco di organizzazione che avevamo si concentrò nel Chiapas. Per tutti questi motivi, dovemmo mettere fine al progetto6, così come alla rivista e all’organizzazione Amore e Rabbia in Messico.7
Ricapitolando: lo zapatismo ci assorbì, con la nostra complicità.
Nonostante la brutta esperienza vissuta e l’illusione di lavorare con dei compagni anarchici, continuavo a credere che lo zapatismo fosse un’opzione politica per cambiare la società e arrivare a una libertà costruita da tutti. Per giungere a questa libertà bisognava lavorare e sviluppare l’autonomia proposta dagli zapatisti, ma in cosa consisteva questa autonomia? Era, con le parole del Comandante David, “la facoltà dei popoli indigeni di prendere decisioni su differenti livelli della vita: politico, economico, sociale, culturale, religioso e territoriale”; era il “prendere da soli le decisioni per il benessere del popolo”, affinché “da soli i popoli possano muoversi, pensare, agire (…) per il fine che essi vogliono, ma con libertà e in coerenza con le proprie idee.”8
Dunque partecipai9, in modo individuale dal 1997 al 2006, alla costruzione dell’educazione autonoma zapatista in una parte della Zona Altos del Chiapas, conosciuta come le Comunità del Sud di San Cristóbal de las Casas10 e successivamente in gran parte della Zona Altos del Chiapas con la Carovana II “Resistenza e Ribellione per l’umanità”.
Io partecipavo attraverso un’organizzazione non governativa (chiamata Formazione e Addestramento A.C. FOCA) di San Cristóbal de las Casas che era legata, e in parte integrata, allo zapatismo delle Comunità del Sud. Fu un’esperienza di quasi 9 anni, in cui si è passati dall’assistenzialismo alla creazione con i villaggi, le comunità e i gruppi di una educazione autonoma zapatista. Si è fatto tutto il possibile affinché il progetto di educazione sorgesse dai villaggi e fosse loro. Sono stati anni in cui arrivai a pensare che stessimo davvero costruendo un’altra educazione: libera, autonoma, critica, pensante, diversa, che fosse di tutto il popolo e per tutto il popolo, e che fosse uno strumento di emancipazione e cambiamento della società.
In quegli anni ho potuto conoscere dall’interno il funzionamento dei villaggi zapatisti; questa conoscenza e apprendimento sono sempre stati ottenuti rispettando le loro decisioni e il loro modo di concepire il proprio agire. Tuttavia sorgevano molte contraddizioni tra ciò che io pensavo in quanto anarchico e quello che facevano loro, ma lo giustificavo perché pensavo: “non essere quadrato, dogmatico e purista”, “non è semplice cambiare una società e inoltre ci vuole tempo”, “certo, tu vieni dalla città e questo è il mondo indigeno, non comprendi tutto”, “non tentare di porre le teorie anarchiche in pratica”, “sono decisioni loro”. In sostanza, come scrisse alcuni anni fa anche un compagno del defunto Comitato di solidarietà con il Messico di Amsterdam: “Noialtr@ abbiamo agito come fanno molt@ “militanti”: abbiamo messo da parte i nostri sentimenti, dubbi e critiche nell’interesse della “causa”. Più tardi abbiamo capito di aver fatto un grande errore. Questo è un errore da cui abbiamo imparato, ma di certo ne abbiamo commessi altri.”11

Mural nel Caracol di Oventic
Contraddizioni e autoritarismo

Le contraddizioni che vivevo, che si sono poi convertite in critiche e più avanti nella rottura con l’EZLN, si possono riassumere in due questioni.
Il primo grande problema con lo zapatismo è che esiste un discorso rivolto all’esterno, diretto maggiormente alla società civile, al popolo messicano, ai suoi simpatizzanti e persino alla sua base, e un altro discorso rivolto all’interno, alla sua struttura interna come organizzazione.
Il discorso verso l’esterno sostiene che nei cosiddetti territori zapatisti si eserciti un’autonomia dove il popolo (il basso) è quello che decide tutto, che il modo di lavorare negli ambiti della salute, dell’educazione, della giustizia, ecc. si stabilisce nelle assemblee comunitarie (si dice che in queste assemblee si discute tutto, si studia e si arriva alle conclusioni); che la base della resistenza e della lotta si fonda sul popolo e che uno dei suoi principi, come organizzazione, è il “comandare obbedendo” che sorge dal popolo.
Tuttavia i discorsi, e soprattutto la pratica, verso l’interno, sono tutto il contrario: esiste un sopra e un sotto. Chi sta sopra sono i comandi politico-militari e i leader delle comunità (Comandanti); sono loro che hanno l’ultima parola su qualunque tipo di progetto; sono loro che determinano se il lavoro di educazione, salute, giustizia, governo, ecc. va bene o male e sono loro che prendono le decisioni politiche dello zapatismo. Quelli di sotto sono la base e tutti i responsabili locali e regionali eseguono gli ordini che vengono impartiti; fanno riunioni nei propri villaggi dove si leggono solamente gli scritti del Comando Zapatista; le assemblee servono solo per questioni logistiche richieste dall’organizzazione o per risolvere i problemi interni alle comunità.
E questo porta al secondo problema: l’autoritarismo. Perché sulle decisioni che vengono prese dall’alto non può esistere la discussione, il dialogo, la riflessione e lo scambio di idee con la propria base zapatista. Non esistono le assemblee dove si discute per ore una proposta o una decisione politica. Non esiste questo “avanzare domandando”. Non è scontato che “qui comanda il popolo e il governo obbedisce”. Quello che esiste è un’autonomia dove si comanda e si ubbidisce.
Per sostenere quanto appena detto, racconto due esempi che ho vissuto.

Una sola educazione possibile

Nell’anno 2003 furono create le Giunte di buon governo nei territori zapatisti: in teoria, l’applicazione degli Accordi di San Andrés Sakam´chen doveva essere un avanzamento nell’autonomia e il contrappeso per equilibrare lo sviluppo dei municipi autonomi e delle comunità, per far sì che la voce dei popoli fosse affermata da loro stessi e non dall’EZLN, dal momento che nei discorsi dell’EZLN quest’ultimo è la parte militare e la base sono i civili.
Sull’educazione, una delle aree principali dell’autonomia zapatista, si diceva che questa “dovesse procedere come in politica, ossia dal basso verso l’alto”, costruendo un’educazione che venisse dal popolo, dove si teneva conto della sua parola. Dove, come diceva il coordinamento dell’educazione della Zona Altos, l’educazione autonoma, avrebbe dovuto: “insegnare imparando ed educare producendo nuovi mondi. Dobbiamo sapere che nessuno educa nessuno, e nessuno si educa da solo, ma tutti, ossia in modo collettivo, ci educhiamo”.12 E ancora “con il contributo degli anziani, del popolo, dei rappresentanti, delle donne, degli uomini, i giovani, che hanno dato il loro punto di vista per iniziare a tracciare o pianificare una guida di lavoro che serva da piano per le scuole primarie autonome”.13
Il problema di tutto questo era che rimanevano solo discorsi, che all’orecchio suonavano bene, ma nella pratica cosa si faceva?
Ciò che avvenne fu che vennero eliminati i pochi progressi, costati molti sforzi, in alcune località della Zona Altos de Chiapas e si diede avvio a una maniera di lavorare e a un unico piano di studi14 per tutti i villaggi emanati dal cosiddetto Coordinamento generale del Sistema di Educazione ribelle autonomo zapatista di liberazione nazionale – Zona Altos de Chiapas. Il piano di studi fu redatto da una persona (il Coordinatore dell’Educazione) e per la gran parte era una copia dei piani di studio delle scuole primarie del governo messicano, con la sola differenza che sui temi sociali o ambientali veniva introdotto il punto di vista zapatista o rivoluzionario o di lotta.
Alla base zapatista e a tutta la struttura civile zapatista non veniva chiesta alcuna opinione su ciò che in teoria si stava costruendo collettivamente. E la verità è che mai si è domandato ai villaggi, alle comunità o ai gruppi zapatisti: “in che consiste, come funziona e quale fine si pone la nostra educazione autonoma?” o si è discusso su quali fossero le nostre conoscenze e i saperi che come popolo dovevamo insegnare ai nostri bambini. C’erano persino attivisti nel campo educativo, che da tempo vi lavoravano, a cui non fu chiesta alcuna opinione.
Quello che importava era che si lavorasse sull’educazione autonoma zapatista perché questi erano gli ordini e quindi la cosa principale era che si aprissero scuole e si nominassero promotori in tutti i villaggi (molte volte venivano nominati promotori che non volevano fare quel lavoro o che erano usciti dalla scuola Secondaria Ribelle Autonoma Zapatista “Primo Gennaio” di Oventic e non sapevano come affrontare il lavoro educativo).
Ciò che riuscì a portare a termine la Giunta di buon governo e il suo Coordinamento Generale del Sistema di Ecucazione Ribelle Autonomo Zapatista di Liberazione Nazionale fu un’unificazione dell’educazione autonoma zapatista, il cui risultato immediato fu l’imposizione e il controllo di come si voleva portare avanti l’educazione autonoma della Zona Altos. Come diceva allora il Coordinamento sull’Educazione: una sola educazione.
Si arrivava, disgraziatamente, a situazioni in cui il coordinatore generale dell’educazione o il comandante influente o il comando militare regionale o generale venisse a conoscere qualcuno che lavorava nel campo educativo, rimanesse colpito dai suoi discorsi, e gli affidasse un ruolo o un incarico di promozione dell’educazione senza che vi fosse alcuna relazione con i progetti che si stavano pianificando nel campo dell’educazione autonoma.
Alla metà di giugno (esattamente il giorno 19) del 2005 fu dichiarato un allarme rosso nel territorio zapatista. Il motivo dell’allarme (nel discorso rivolto all’esterno) era una consultazione di tutta la struttura dell’EZLN (truppa insorgente, comandanti, responsabili locali e regionali, base di appoggio) e, nelle parole dell’EZLN, questa consultazione serviva a “fare un bilancio della fase in cui si trova la nostra organizzazione e un’analisi della situazione nazionale attuale. Inoltre, si propone alla base di appoggio, che costituisce il comando supremo del nostro movimento, un nuovo passaggio nella lotta, un passaggio che implica (…) rischiare di perdere il tanto o poco che è stato conquistato (…).”
Più avanti ci dicevano: “è per questo che tutti verranno consultati, per questo si chiede a tutti, per questo si cerca il consenso di tutti (…) Solo allora il collettivo che noi tutti costituiamo prenderà una decisione. Si stanno soppesando i pro e i contro (…) Allora decideremo se faremo un’altra cosa e renderemo subito pubblico il risultato.”15 Alla fine di giugno fu resa nota sui media la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona che attualmente resta in vigore. Nella parte finale vi si afferma: “Mentre riflettete, vi diciamo che oggi, nel sesto mese dell’anno 2005, gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani dll’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale hanno già deciso e sottoscritto la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno firmato coloro che sanno e chi non ha posto la propria impronta, ma sono pochi coloro che non sanno perché siamo andati avanti con l’educazione qui in questo territorio in rivolta per l’umanità e contro il neoliberismo, e cioè sotto il cielo e in terra zapatista”.16
Nuovamente, il discorso suona molto bene ma la realtà fu diversa e fu fatto tutto il contrario.
Racconterò brevemente come fu vissuto l’allarme rosso nel “Caracol de Resistencia y Rebeldía por la Humanidad de Oventic” della Zona Altos.
Fu convocata una riunione urgente di tutti gli zapatisti che stavano lavorando nel Caracol (promotori dell’educazione, della salute, artigiani, autorità) nell’auditorium “Emiliano Zapata” di Oventic. Alla riunione partecipavano vari Comandanti, che spiegavano che era stato decretato un allarme rosso perché era arrivato un ordine dal comando, che si sarebbe passati a un’altra tappa della lotta e che avrebbero posto delle domande17 molto importanti. Le domande erano rivolte a tutti i presenti e bisognava rispondere seduta stante. La prima domanda era la seguente: “Vuoi continuare la lotta?” Alla domanda si poteva rispondere “si” o “no”. Se rispondevi “no” dovevi andartene, prendere le tue cose e abbandonare l’organizzazione zapatista (dell’EZLN). Se la risposta era affermativa, avevi diritto a rispondere alla domanda successiva: “Sei d’accordo a lottare insieme ai lavoratori delle città e delle campagne, ad altri indigeni, giovani, donne, anziani, bambini e bambine ecc.?” Se la tua risposta era affermativa, facevi un giuramento che consisteva nel non rinunciare alla lotta zapatista. Si giurava e infine i comandanti davano l’indicazione che ciascuno tornasse a casa, nella sua comunità, villaggio o gruppo e che lì sarebbero stati avvisati sui passaggi successivi.
Poche settimane dopo, come già detto, apparve sui mezzi di comunicazione la Sesta Dichiarazione.
Prima che apparisse pubblicamente, la Sesta Dichiarazione non fu letta a nessuno della base zapatista, nessuno fu consultato nelle discussioni, affinché esprimesse se era d’accordo o meno e la sottoscrivesse. La base zapatista conobbe la Sesta Dichiarazione solo quando apparve pubblicamente.

Autonomia autoritaria

Le questioni in cui credevo, in quanto anarchico, e che vedevo nello zapatismo, come l’autonomia, l’autogoverno, l’autogestione, l’orizzontalità, le assemblee, sono sfumate e si sono rivelate menzogne.
E non è che si sperasse che l’EZLN fosse anarchico e che la costruzione dell’autonomia fosse tutta positiva, corretta e senza errori. No, credere in questo sarebbe stata un’esagerazione, perché ogni costruzione sociale presenta delle falle, errori, fraintendimenti e cadute. Ma quello che si capiva era che avremmo tutti costruito uno spazio di libertà con la pratica dell’autonomia. Sfortunatamente questo nello zapatismo è impossibile. Il comando, la disciplina e l’obbedienza agli ordini dei superiori sono la cosa più importante. Non esisteva, né si voleva, un’appropriazione reale da parte della base delle teorie zapatiste che venivano enunciate nei discorsi.
Il risultato è la costruzione di una autonomia autoritaria. Sì, può sembrare una contraddizione accostare queste due parole, ma l’autonomia zapatista si può comprendere solo così: come una forma di governo autoritaria. Ben diretta e ben pubblicizzata, poiché esistono due modi di portare avanti il governo: attraverso la propaganda, portata avanti con molto lavoro (attraverso le Giunte del buon governo, Municipi autonomi, promotori di salute e di educazione), e nella maniera che chiamo ufficiale, con la quale come organizzazione sono nati, cresciuti e si sono sviluppati (attraverso la struttura politico-militare). Queste due forme convivono e si aiutano a realizzare il governo autonomo, ma entrano in grande conflitto e chi realmente comanda sono i secondi. (Non bisogna fraintendere queste affermazioni: la base zapatista, i comandanti, i responsabili locali e regionali, le Giunte del buon governo, i promotori accettano questo tipo e forma di governo e di autorità perché è servita nella loro lotta, sono contenti di essa ed è la loro maniera di lavorare e che considerano di successo).18
Davanti a questo panorama e dopo averlo analizzato, come potevo continuare a lavorare con loro? Come potevo giustificare tutto il discorso che si faceva sull’autonomia? Perché accettare questa forma autoritaria di governo e le sue pratiche autoritarie? Perché accettavo il doppio discorso? Perché non esternare queste critiche con i compagni zapatisti? Detto in sintesi, perché non si poteva, perché se lo avessi fatto, o lo avessi solo insinuato, si sarebbe percepito come qualcosa di malvisto, e sarebbe iniziata la sfiducia, il negarmi le informazioni, gli avvisi sul fatto di non mettere tutto in discussione, i castighi e l’espulsione.19
Come anarchico non fui critico e non fui cosciente di quello che stavo facendo. Le nostre critiche tanto radicali verso la società capitalista le lasciavamo parcheggiate per non fare brutta figura davanti ai compagni e ai simpatizzanti zapatisti e per non apparire dogmatici, settari e puristi. Come anarchico ho tollerato azioni nefaste: autoritarismo, inganni, menzogne e discorsi doppi. E come anarchico sono stato in silenzio e non mi sono esposto davanti a questi atti negativi dello zapatismo perché pensavo che “non bisognava intaccare il movimento”, perché “non è il momento”, perché “direbbero che siamo dei traditori, dei venduti e degli infiltrati del governo”, “perché tutto ciò cambierà, siamo solo agli inizi” o perché “siccome siamo dei bianchi, vogliamo imporre il nostro pensiero colonialista.”
Sono passati 25 anni da quando ci siamo avvicinati e coinvolti con lo zapatismo e 25 anni fa avevo creduto che si fosse aperto uno spazio rivoluzionario, ma il risultato è stato solo che mi sono incatenato, felice, all’autoritarismo tipico che pullula nelle organizzazioni di sinistra o democratiche messicane. La cosiddetta rivoluzione si è risolta tutta in uno spettacolo: passamontagna e bandana, in bei discorsi ambigui, in incontri di ogni tipo tra lo zapatismo e i suoi simpatizzanti, in allarme rosso, in Buon governo, in autonomie autoritarie e nel giocare al clandestino armato.
Dopo 25 anni posso affermare che l’anarchismo non ha niente da condividere con l’EZLN. L’unica cosa che vuole lo zapatismo è cooptare gente per la propria organizzazione20, che accetti i suoi discorsi e la sua pratica autoritaria senza battere ciglio. E se davvero ci sentiamo anarchici, dobbiamo rifiutare questo tipo di idee e di pratica.
Continuo a credere che si possa e sia necessario fare una rivoluzione. Continuerò a dirlo e a insistere perché l’essere umano deve essere libero. Perché quello che ho sperimentato nei villaggi, nelle comunità e nelle zone agricole è che quando si parla, si domanda, si discute e si crede in alcune idee si può fare qualunque cosa, senza necessità di grandi risorse economiche e senza leader illuminati o messianici, ed è questo, in essenza, uno degli elementi iniziali per accendere una rivoluzione.
Continuerò sempre a credere che non abbiamo bisogno di comandare né di obbedire, e per la stessa ragione non abbiamo bisogno di buoni governi, né di comitati di governo, né di comandanti, né di assemblee manipolate, né di nulla di simile. Perché quello di cui abbiamo bisogno è essere noi stessi artefici della nostra liberazione con il pensiero, la parola, l’azione e un’organizzazione onesta e sincera.

Javier Herrera

Questa relazione è stata presentata alla 10^ Fiera del libro anarchico organizzata dalla Federación Anarquista de México – IFA il 30 marzo 2019 a Città del Messico.
traduzione di Angela Ferretti

  1. La Rete Amore e Rabbia fu fondata nel 1989 da gruppi anarchici canadesi e statunitensi.
  2. Per comprendere le idee dell’anarchismo rivoluzionario si può consultare lo scritto di Wayne Price, Una historia del grupo anarquista norteamericano Amor y rabia, in www.anarkismo.net.
  3. Comando Generale dell’EZLN, Dichiarazione della Selva Lacandona, Chiapas, Messico, 1993.
  4. Amore e Rabbia, Dichiarazione politica di Amore e Rabbia, “Amore e Rabbia, una pubblicazione mensile anarchica rivoluzionaria”, numero 0, gennaio 1993, Città del Messico, p. 8.
  5. Santa Rosa el Copán fu la capofila ribelle del municipio “Libertad de los Pueblos Mayas”. Si veda: CCRI-CG-EZLN, Parte de guerra y creación de ocho municipios, 11 de diciembre de 1994.
  6. Negli USA continuarono il progetto, ma solo attraverso apporti materiali per la comunità. Si veda: Anarchist Project in Chiapas, in “Love & Rage”. Volume 8, Number 5, Nov./Dec. 1997, USA, p.9.
  7. La storia di Amore e Rabbia e del suo progetto nella zona zapatista meriterebbe uno scritto più esteso poiché molta gente disconosce e addirittura interpreta male quanto realizzato e lo riduce a capricci personali di ex compagni anarchici.
  8. Comandante David, appunti personali, Chiapas, Messico. 2006.
  9. La decisione di continuare a partecipare fu presa anche da altri compagni anarchici che stavano nel Campo di solidarietà diretta “Martiri di Chicago” di Amore e Rabbia, e ciascuno trovò un suo modo di rapportarsi allo zapatismo.
  10. Come dice il nome, si tratta di comunità ubicate a sud del municipio di San Cristóbal de la Casas, ma che comprendono anche i municipi di Amatenango del Valle, Teopisca, Tzimol y Venustiano Carranza. Sono comunità zapatiste di lunga data, non dichiarate ufficialmente, che potrebbero formare uno o due municipi autonomi.
  11. Gerónimo/Jeroen, La solidarietà come automatismo cieco. Riflessioni sul Comitato di solidarietà con il Messico di Amsterdam, “Revista Ekintza Zuzena”, Paesi Baschi, Numero 26, www.nodo50.org.
  12. Appunti personali, Chiapas, Messico, 2005.
  13. Intervista a Amos realizzata da Eduardo Luis Nachman durante la sua permanenza a Oventic, Territorio Autonomo zapatista dello Stato del Chiapas, comunidadabiertadeaprendizaje.blogspot.com.
  14. Nel doppio discorso zapatista il piano di studio si chiama “guida di lavoro”.
  15. S.I. Marcos, Alla società civile, 21 giugno 2005, Messico.
  16. EZLN, Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, giugno del 2005, Messico.
  17. Questo tipo di domande sono quelle che, nel doppio discorso zapatista, si chiamano consulta o votazione dei villaggi. Un altro esempio fu quando si domandò ai villaggi se volessero dichiarare guerra al governo messicano. Adela Cedillo le descrive come “domande retoriche”. Si veda Las Fuerzas de Liberación Nacional y el surgimiento del EZLN, in mx.ivoox.com.
  18. Per una miglior comprensione si veda la seguente tesi: Cedillo, El suspiro del silencio de la reconstrucción de las fuerzas de Liberación Nacional a la fundación del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (1974-1983), Messico, 2010.
  19. Se i comandi ti ritenevano meritevole di espulsione ti cancellavano totalmente e tu non esistevi più da nessuna parte, né sul territorio zapatista né fuori.
  20. Nel doppio discorso zapatista sono chiamate “iniziative degli zapatisti”. Tale cooptazione di persone avviene nei comitati civili di dialogo, nei coordinamenti, nelle varie campagne e recentemente con il Consiglio Indigeno di Governo.

testo originale in spagnolo